di Simone Nardone
Per la nostra generazione di trentenni, nati un battito di ciglia prima del crollo dell’Unione Sovietica, non può sapere quali erano le sensazioni, l’effetto e la concretezza di un senso di Stato, di Paese, che settanta anni fa provava a riconoscersi tale e che tentava di venire fuori attraverso un documento che entrava in vigore il 1 gennaio 1948: la Costituzione della Repubblica Italiana.
Quel fantastico scritto ha dei numeri, tanti, il più importante quello degli articoli; ma soprattutto ha un nome. Come tutti sanno si tratta di un documento intenso, profondo, frutto di un compromesso politico e umano che, forse, non si è mai più visto nel nostro Paese. La Carta è, con ogni probabilità, l’unica legge del nostro ordinamento giuridico di cui conosciamo, anche se in modo superficiale, almeno qualche frase o una serie di parole messe in fila. Eppure è da sempre così amata, da un lato, e odiata, dall’altro. Politica, istituzioni, gruppi di pressione e semplici cittadini l’hanno difesa e provata a modificare senza sosta e con pochi risultati per settant’anni. “Toccarla” è sempre qualcosa che ci scuote nell’animo, perché quel documento è uno dei pochi che ci fa percorrere il brivido di sentirci parte di qualcosa. Bisogna precisare che ogni proposta, o modifica effettuata alla Costituzione è stata sempre inerente alla Parte Seconda, quella della struttura e del funzionamento delle istituzioni. Nessuno ha mai pensato di andare a ridisegnare quella sensibilità che mostrano i 12 articoli fondamentali o l’umanità che si evidenzia nella Parte Prima, quella dei diritti e doveri del cittadino.
C’è ancora qualcuno che, isolatamente, prova a minare principi e concetti che sono pressoché indiscutibili. Ma la cosa più interessante, più affascinante e se vogliamo anche maggiormente vera, è che nessuno riesce ad immaginare un Paese ed una società diversa da quella idealmente indicata dalla Costituzione. Si può, anzi, si dovrebbe modificare qualcosa nella Parte Seconda per migliorare un sistema che non sempre si è mostrato adeguato ai tempi. Ma nessuno può sognare qualcosa di più umano, di più libero, assistenziale e garantista di quanto previsto dalla Parte Prima. Parliamo del disegno di una società, che qualcuno, settant’anni fa immaginava per figli e nipoti. Qualche generazione ha forse sbagliato, almeno in parte, approccio con la storia, ma come si può non essere onorati di chi allora ci ha detto, con fare severo ma rassicurante, di seguire quel disegno?
La nostra Costituzione è un po’ come una mamma. Una mamma che ci indica una strada da seguire, coccolandoci e rimproverandoci. Sta a noi capire quando sbagliare e quando ascoltare, vivendo e non chiudendoci in una campana di vetro. La Costituzione era un sogno, una speranza per un Paese che era appena uscito da un incubo e che oggi, dopo settant’anni, non può che avere sempre lo stesso valore.