di Vincenzo Parisella
Negli ultimi anni è entrato a far parte del linguaggio economico il concetto di “industria 4.0”. Con questo termine si intende “l’utilizzo, all’interno delle aziende, di macchinari connessi al Web come stampanti 3D e robot che permettono di gestire il ciclo produttivo in maniera più flessibile”, questa è la definizione data dal Ministero dello Sviluppo Economico.
La “quarta rivoluzione industriale” sta investendo tutti i paesi più industrializzati e non è da meno la nostra Italia che, grazie alle riforme intraprese nel 2016 dall’esecutivo Renzi, ha iniziato a percorrere la strada del futuro che ci porterà, con molta probabilità, ad avere aziende completamente automatizzate.
L’Italia si sta preparando a questo ciclone tecnologico attraverso programmi che prevedono incentivi per le aziende che decidono di investire sulle innovazioni e sul cambiamento sistematico del modo di produrre beni e servizi.
Le domande che l’opinione pubblica si sta facendo su questo nuovo paradigma produttivo sono: all’interno delle aziende ci sarà il predominio dei robot? Quale sarà il destino dei lavoratori “tradizionali”?
Questo aspetto è molto importante ed oscuro allo stesso tempo in quanto, secondo diversi studi effettuati su scala mondiale come quello del World Economic Forum, i posti cancellati a causa di questa nuova rivoluzione potranno arrivare anche fino a cinque milioni.
Allo stesso tempo, però, ci sarà il rinnovamento o la creazione radicale di nuovi tipi di lavori, soprattutto per quanto riguarda l’area manageriale e più in particolare, attualmente le professioni più richieste riguardano gli analisti del business digitale, gli esperti di cybersicurezza, ingegneri hardware e soprattutto sviluppatori.
Se da un lato l’Italia sta facendo passi da gigante nel campo dell’innovazione grazie anche alla spinta di piani governativi e comunitari, dall’altro invece non tutte le aziende riescono ad innovare facilmente in quanto i profili professionali descritti poco sopra sono per adesso quasi introvabili.
Ed è proprio questa la sfida che dovranno vincere gli imprenditori, cioè colmare più che il gap infrastrutturale, quello sul capitale umano. Per far questo, dovranno essere create delle vere e proprie scuole all’interno delle stesse aziende che avranno l’obiettivo di formare il capitale umano preparandolo in maniera ottimale alla digitalizzazione. Naturalmente una grossa mano dovrà essere data anche dal sistema dell’istruzione italiana che potrebbe predisporre gli studenti, soprattutto quelli impegnati nelle materie scientifiche, verso un approccio nuovo, improntato sull’innovazione del sistema produttivo. In questo modo verranno formati i lavoratori del futuro, cioè quelli che avranno a che fare con robot e impianti automatizzati.
La scommessa della quarta rivoluzione industriale quindi può essere vinta solo se tutti gli attori in campo remano verso un’unica direzione e quindi verso uno sviluppo delle competenze digitali, verso una maggiore collaborazione e integrazione tra gli stessi attori della filiera produttiva e infine verso la creazione di un sistema di sicurezza informativo atto a proteggere le attività operative dell’impresa.
Se tutti questi aspetti verranno sviluppati in maniera ottimale, la digitalizzazione potrebbe essere una grande opportunità per il nostro tessuto produttivo, così da non rimanere isolati rispetto alle altre super potenze industriali. Ciò potrebbe addirittura evitare di creare una generazione di lavoratori disoccupati.
Allo stesso tempo ci domandiamo se l’impresa 4.0 sarà responsabile della cancellazione di vecchie e nuove professioni, sacrificabili in nome della globalizzazione. Ma a questa domanda potremmo rispondere solo aspettando il futuro, che forse è già oggi.