di Vito Saracino e Simone D’Adamo
Spesso si pensa al nostro Paese come un dinosauro che stenta nell’adattamento ai cambiamenti, dove le idee innovative non riescono ad avere l’ossigeno giusto per respirare a pieni polmoni. Durante le ricerche intraprese, più di qualche volta, tale stereotipo viene smontato, come nel caso della scoperta-riscoperta del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), gruppo sorto nell’Italia Rossa nel secondo dopoguerra e diffusosi soprattutto fra Toscana ed Emilia Romagna.
Sempre in un esempio di storia passata che parla al presente ci si è accorti di come tale idea sia ancora attuale e applicabile nella nostra società. Come soleva dire Nanni Moretti in Palombella Rossa, “le parole sono importanti”, ma sono anche indispensabili uomini che quelle parole le pronunciano e le mettono in atto. Nel caso del MCE tutto questo è legato imprescindibilmente alla figura di Bruno Ciari, Maestro con la M maiuscola che ha portato in Italia le idee progressiste/educative del pedagogista francese Celestine Freinet, secondo cui chi si approccia al mondo educativo si deve avvalere “dell’istinto del pastore che sa comprendere e giudicare l’individuo e il gregge”. Il lavoro metodologico-culturale di Bruno Ciari, che ha interessato tutti i vari gradi dell’istruzione, ha ben poco influito su quella scuola raggrinzita e immeschinita di cui lo stesso insegnante toscano ne aveva auspicato l’estinzione. Malgrado tutto, a oggi le sue idee e i suoi valori, altamente democratici, vengono portati avanti dall’MCE mediante una formazione-educazione attiva, sia all’interno che all’esterno delle mura scolastiche. Ciò comporta un duro lavoro, dietro le quinte, da parte di insegnanti e pedagogisti per mezzo di una ricerca cooperativa costante e flessibile che rispecchi l’ambiente esterno e i continui mutamenti della società che la abita.
I docenti si trovano ad affrontare una grande sfida giorno per giorno nei banchi di scuola. Sperimentano modelli educativi rivoluzionari che formano l’uomo come tale e non come un contenitore nella quale inserire e conservare nozioni statiche e tecniche, prive di senso nella quotidianità. Uno tra tutti viene sottolineato: l’importanza e la costruzione di un apprendimento scientifico che sia in grado di far emergere nei discenti uno spirito critico e creativo. Ciari lo ha definito “spirito scientifico”, inteso come una scienza che doveva essere applicata nelle varie sfaccettature della vita, senza nessun esclusione.
Stiamo trattando e attualizzando idee forti sia allora, in un’Italia figlia della Riforma Gentile dove persino architettonicamente la cattedra veniva messa più in alto rispetto alla classe, che oggi, dove la scuola è in preda ad un’ondata burocratizzante e abbagliata dal raggiungimento degli obiettivi.