di Giorgio di Perna
Il 9 maggio 1950 l’Europa, un quinquennio dopo la fine del secondo conflitto mondiale, era ancora in ginocchio. Robert Schuman era il Ministro degli Esteri francese e si presentò al Consiglio dei Ministri con una proposta che, considerato il forte sentimento antitedesco diffuso in tutto il Paese e in tutto il Vecchio Continente, pensava venisse bocciata. La caparbietà e l’elevata statura politica di un politico navigato, di uno statista, portò Schuman a proporre la pace. Non un trattato di pace qualsiasi, ma un progetto lungimirante: l’Unità dell’Europa attraverso la Comunità del carbone e dell’acciaio. «La pace mondiale non potrebbe essere salvaguardata senza sforzi proporzionali ai pericoli che la minacciano. L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto – diceva il ministro degli esteri francese -. La fusione delle produzioni di carbone e di acciaio cambierà il destino di queste regioni che per lungo tempo si sono dedicate alla fabbricazione di strumenti bellici di cui più costantemente sono state le vittime». Oltre alla chiara adesione della Germania Federale del Cancelliere Konrad Adenauer, parteciparono al patto anche l’Italia guidata da Alcide De Gasperi e i paesi del Benelux (Belgio, Olanda e Lussumburgo).
Non è un caso, quindi, se questa data è stata individuata come Festa dell’Europa.
Il 9 maggio 2019 Jean-Claude Juncker è il Presidente della Commissione Europea, Antonio Tajani il Presidente del Parlamento Europeo, Donald Tusk il Presidente del Consiglio Europeo e Mario Draghi il Governatore della Banca Centrale Europea. Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e altri ventidue sono gli Stati membri dell’Unione europea. Di questi ventotto (probabilmente ancora per poco, considerando che sono state avviate le trattative per l’uscita della Gran Bretagna), diciannove adottano la stessa moneta. Per spostarsi da un Paese all’altro, inoltre, non ci sono più le vecchie dogane e non bisogna esibire il passaporto. Sicuramente non ci sono soltanto potenzialità e benefici, ma anche cose da migliorare per il bene degli europei e della tenuta dell’Unione stessa. Il 9 maggio 2019 siamo presenti davanti ad un autentico conflitto intellettuale ed ideologico, quello tra i cosiddetti europeisti ed i sovranisti. In questo momento storico – strano, ma vero! – in cui soffia il vento dell’antieuropeismo, tra i giovani italiani (più che nei loro coetanei di altri Paesi) è forte l’attaccamento verso l’Europa: secondo le ricerche di alcuni atenei italiani, nove ragazzi su dieci si sentono pienamente cittadini europei. Tuttavia capita di incontrare giovani europei in cui prevale un atteggiamento di passività: voglia di Europa sì, ma che siano gli altri e i più adulti a pensarci. In questo mondo in cui tutti cercano idoli da imitare e follower da influenzare, tante eccellenze del nostro Paese sono “silenziosamente” in giro per l’Europa per studio o per lavoro. La speranza è che grazie alla testimonianza di questi giovani sognatori che si risveglierà il sentimento europeo nei giovani italiani. Perché c’è tanto bisogno di tornare a sperimentare l’idea fondativa dell’Europa: un luogo che andrebbe abitato come la propria casa, vissuto pienamente e dal quale bisognerebbe cogliere le tante opportunità che offre e lavorare tutti insieme per modificare e rimodulare i diversi segni di debolezza. Il nostro Paese, con la propria cultura, è tra quelli che l’Europa l’ha pensata e modellata. Questo è, quindi, il momento in cui non bisogna sentirsi né spettatori, né semplici destinatari delle decisioni politiche: bisogna tornare ad essere protagonisti dell’Europa.