Fonte: https://www.focus.it/ambiente/ecologia/popolazione-mondiale-nel-2050-saremo-10-miliardi
di Valerio Iannitti
Nel 1798, quando la popolazione mondiale si apprestava a superare per la prima volta il miliardo, Thomas Malthus pubblicò il Saggio sul principio della popolazione, sostenendo che l’aumento demografico fosse un male per l’umanità, in quanto gli esseri umani si moltiplicavano in maniera geometrica, mentre le risorse aumentavano in maniera aritmetica, con inevitabile conseguente immiserimento della popolazione.
La teoria di Malthus fu criticata da diverse parti, in particolare perché non sembrava tener conto dei progressi della tecnologia, in un momento in cui i risvolti ecologici erano ancora di là da venire. Anche Karl Marx non le mandò a dire, definendo il saggio come “un superficiale plagio, declamazione da scolaro o meglio da prete, delle opere di Defoe, Sir James Steuart, Townsend, Franklin, Wallace, etc., e non contiene neanche una sola posizione originale”.[1]
Sono trascorsi, nel frattempo, altri decenni. La popolazione mondiale ha toccato i 4 miliardi nel 1974. Fu rispolverata la teoria del sociologo inglese dando vita ad una sorta di neo-malthusianesimo: ad esempio, Paul Ehrlich, biologo statunitense, nel 1968 pubblicò un libro intitolato “The Population Bomb”. Egli riteneva imminente una crisi ambientale e sociale dovuta al problema del sovrappopolamento, con conseguenti migliaia di morti all’anno per carestie e mancanza di risorse già a partire dagli anni Settanta[2]: uno scenario apocalittico (che nei fatti non si verificò) che, di lì a breve, a Bucarest, fu affrontato anche da una Conferenza internazionale sulla popolazione e lo sviluppo.
Successivamente, la popolazione mondiale è passata a 5 miliardi nel 1987, 6 nel 1999, 7 nel 2011. Le stime non sono concordi sull’evoluzione della crescita demografica nel medio-lungo periodo. Recentemente è stato pubblicato dalla rivista Lancet uno studio al riguardo[3]: secondo tali nuove previsioni la popolazione mondiale continuerà ad aumentare fino al 2064: in quel momento il nostro pianeta sarà abitato da circa 9,7 miliardi di esseri umani, ossia 2 miliardi in meno delle stime precedenti. Metà dell’aumento della popolazione globale tra oggi e il 2050 si pensa che sarà dovuto soltanto a nove Paesi: India, Nigeria, Pakistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Tanzania, Indonesia, Egitto e USA (in ordine decrescente di aumento)[4]. Successivamente la popolazione mondiale dovrebbe cominciare a calare fino a toccare gli 8,8 miliardi nel 2100. In Italia, nel 2100, in assenza di aperture ai migranti si prevede che la popolazione sarà la metà di quella attuale.
Nel frattempo, si segnala che per la prima volta dal 1950, nel 2020 e nel 2021, la popolazione mondiale, complice probabilmente anche l’epidemia da Sars-Cov-2, sia aumentata di meno dell’1%[5].
La tabella che segue indica il tasso di fecondità per donna: si noti come la crescita sia estremamente rapida soprattutto nell’Africa subsahariana. Si stima che nei prossimi vent’anni la popolazione africana raddoppierà passando da poco più di due miliardi a circa quattro miliardi e mezzo per raggiungere i tre miliardi nel 2100, con tutte le consequenziali problematiche che potranno esplodere in un continente già martoriato.
Da ultimo, le previsioni della Population division dell’ONU[6] evidenziano come, fatta eccezione per poco più di una decina di Stati subsahariani, ci si avvii verso un’epoca dove tutti i Paesi si porranno in una soglia poco al di sopra o al di sotto di quella di sostituzione (due figli per donna). Ancorché la notizia parrebbe doversi accogliersi favorevolmente, anche tale prospettiva presenterebbe sfide intricate, a partire da come fronteggiare un mondo con sempre meno giovani e sempre più anziani (problematica rispetto alla quale, tuttavia, potrebbe in parte rispondere la crescente automazione di molte attività lavorative)[7] e dalle conseguenze geopolitiche difficilmente prevedibili.
Entro novembre di quest’anno si ritiene che verrà superata la soglia degli otto miliardi di essere umani sul Pianeta.[8] Al momento attuale[9] si stima che ve ne siano 7,966 milioni circa: di queste, 1,451 milioni in Cina, 1,409 in India, ed una cifra simile in Africa (con la Nigeria in testa con 217,5 milioni). L’andamento che seguono i due colossi asiatici e quello del continente africano è però difforme[10]. La Cina ha adottato la politica del figlio unico nel 1979 per poi abbandonarla solo nel 2016. Qui il picco di persone in età da lavoro è stato superato e ora si teme per l’invecchiamento della popolazione. Si ritiene che la popolazione arriverà quasi a dimezzarsi, arrivando a 771 milioni nel 2100[11]. Il passaggio dell’età media dovrebbe andare dagli attuali 38,5 ai 50,7 del 2050 ai 57 del 2075, e porrà il colosso asiatico in fortissima difficoltà. In India invece il picco si pensa che verrà raggiunto solo intorno al 2050[12]. L’Africa, come detto, è destinata a crescere moltissimo nei prossimi decenni. Questi mutamenti demografici, pertanto, rischiano di avere conseguenze sul piano occupazionale e di conseguenza su quello dei rapporti di forza tra i due giganti asiatici.
In Europa, invece (ma a ben vedere si potrebbe dire in Occidente), benché già da tempo il tasso di natalità sia basso, si ritiene che non vi sarà un crollo demografico poiché, nonostante le critiche in cui noi stessi ci prodighiamo, il nostro Continente resta il più attrattivo per i migranti, che compensano in parte le minori nascite. Qualcuno, su queste previsioni, storcerà il naso parlando di “sostituzione etnica”. La situazione non deve essere né drammatizzata oltre il dovuto né sottovalutata, ma gestita nel miglior modo possibile.
In assenza dell’afflusso di persone in età da lavoro provenienti da altri Paesi, i problemi della decrescita demografica in Paesi come l’Italia sarebbero relativi soprattutto agli squilibri tra generazioni, con forti implicazioni sociali. Favorire la natalità, allo stato attuale, sarebbe necessario ma non sufficiente, poiché “i 10-20enni di oggi sono già nati e sono molti di meno degli attuali 50-60enni. Quando avranno 30-40 anni e saranno al centro della vita produttiva e sociale (immaginatevi la curva di figura 1 che si sposta verso destra), il paese potrà crescere solo se nel frattempo li avremo rafforzati quantitativamente e qualitativamente”[13].
La storia dei sapiens è da sempre incentrata sulle migrazioni e sulla ricerca dei luoghi migliori in cui vivere. Una ricerca quasi sempre faticosa, poiché porta con sé i disagi legati al dover lasciare la propria terra e i propri affetti.
Un aumento della popolazione in età da lavoro può contribuire anche a rendere meno insostenibile il regime pensionistico ed il mantenimento dello stato sociale in generale nei Paesi occidentali, stante l’avanzata età media della nostra popolazione.
Ad ogni modo, non vanno sottaciute le possibili problematiche che possono derivare da un aumento dei migranti, in relazione innanzitutto ad un potenziale afflusso troppo ingente e quindi non gestibile, e in ogni caso a ciò che questo aumento, quandanche contenuto, può comportare rispetto all’abbassamento di alcuni standard di vita (persone più vulnerabili sono verosimilmente disposte ad accettare salari più bassi, con tutte le conseguenze del caso, a danno soprattutto delle fasce di popolazione più deboli già presenti nei contesti occidentali), al rischio di discriminazione a danno dei nuovi arrivati, o rispetto al mantenimento di alcuni valori, tradizioni o costumi locali.
La sfida sarà anche quella di tenere alta l’attenzione da questo punto di vista, evitando sia che, ad esempio, persone provenienti da Stati non democratici mettano in pericolo i nostri ordinamenti, sia che gli stessi europei finiscano per disprezzarli, minando le basi dello stato di diritto e della democrazia che resta pur sempre, tra quelle sperimentate, “la peggior forma di governo escluse tutte le altre” (la citazione è di Churchill).
Le questioni dell’affollamento del nostro Pianeta, da un lato, e della decrescita demografica, dall’altro, sono dunque rilevanti nella misura in cui ne portano con sé altre quali: 1) l’aumento delle disuguaglianze, testimoniato periodicamente dai dati Oxfam[14]; 2) la distruzione dell’ambiente e il cambiamento climatico; 3) la tenuta delle democrazie, ivi compresa la sostenibilità delle politiche sociali cui siamo abituati.
Quanto a quest’ultimo aspetto, dal rapporto annuale dell’Economist emerge che sempre meno persone vivono in paesi governati con forme democratiche[15]: al riguardo, conta probabilmente anche il fatto che, mentre per decenni siamo stati abituati ad una maggiore crescita di benessere delle democrazie e in generale dei Paesi con maggiori libertà, da un po’ di anni a questa parte – ne è un esempio proprio la Cina, dove convivono una forte crescita economica e una forte limitazione delle libertà e dei diritti del singolo – non vi è più correlazione tra questi due aspetti, col rischio che i regimi autoritari provochino simpatie nelle opinioni pubbliche occidentali.
Quanto alle prime due questioni, esse non solo sono delicatissime, ma rischiano di essere l’una escludente l’altra: quante più persone dovessero migliorare la propria condizione, tanto più lo stile di vita attuale (di chi versa in condizioni migliori) risulterebbe ecologicamente insostenibile. A meno che non ci vengano in soccorso due elementi: la capacità di rendere più sostenibili i nostri stili di vita e la tecnologia. Nel frattempo, resta da fare il possibile sia a livello micro, ognuno per quel che può, sia a livello macro, tramite promozione di modelli di consumo più sostenibili.
[1] K. Marx, Il capitale: critica dell’economia politica, a cura di Eugenio Sbardella, Roma, Newton Compton, 2010, libro I, nota 75, cit. su wikipediaalla voce “malthusianesimo”.
[2] https://thevision.com/attualita/crisi-demografica/
[3] Aa.Vv. dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (IHME) dell’Università di Washington- Seattle (Stein Emil Vollset, Emily Goren, Chun-Wei Yuan, Jackie Cao, Amanda E Smith, Thomas Hsiao, Catherine Bisignano, Gulrez S Azhar, Emma Castro, Julian Chalek, Andrew J Dolgert, Tahvi Frank, Kai Fukutaki, Simon I Hay, Rafael Lozano, Ali H Mokdad, Vishnu Nandakumar, Maxwell Pierce, Martin Pletcher, Toshana Robalik, Krista M Steuben, Han Yong Wunrow, Bianca S Zlavog, Christopher J L Murray), Fertility, mortality, migration, and population scenarios for 195 countries and territories from 2017 to 2100: a forecasting analysis for the Global Burden of Disease Study, su https://www.thelancet.com/article/S0140-6736(20)30677-2/fulltext.
[4] Cfr. anche https://unric.org/it/un-75-i-grandi-temi-una-demografia-che-cambia/
[5] https://www.wired.it/article/popolazione-mondiale-italia-europa-crescita-demografia/
[6] https://population.un.org/wpp/
[7] Y. N. Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, 2018, pagg. 428-429.
[8]https://www.repubblica.it/esteri/2022/07/11/news/8_miliardi_di_persone_sulla_terra_entro_il_15_novembre_lo_dice_un_rapporto_delle_nazioni_unite-357405804/
[9] Qui in tempo reale: https://www.worldometers.info/it/
[10] Si vedano queste animazioni: https://www.youtube.com/channel/UC00LTcs66sms8KBdQhM14mA .
[11] Cfr. R. Volpi, L’Occidente non tramonta. La Cina sì, su La lettura, n. 558, 7 agosto 2022.
[12] Cina e India sempre più distanti. Anche nella demografia. Ecco cosa accadrà nel 2050, in https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/01/10/cina-e-india-sempre-piu-distanti-anche-nella-demografia-ecco-cosa-accadra-nel-2050/?refresh_ce=1
[13] https://www.lavoce.info/archives/41531/perche-dobbiamo-preoccuparci-della-crisi-demografica/
[14] https://www.oxfamitalia.org/la-pandemia-della-disuguaglianza/.
[15] Cfr. https://www.eiu.com/n/campaigns/democracy-index-2020/ , dove il rapporto è scaricabile gratuitamente, previa registrazione.