Lo scorso giugno la corte di Strasburgo si è espressa contro l’esclusione dei benefici penitenziari per i detenuti condannati all’ergastolo per mafia e terrorismo: nell’ordinamento italiano, questi detenuti non hanno diritto alla liberazione condizionale, al lavoro all’esterno, ai permessi premio. Un caposaldo della lotta al crimine organizzato, per molti magistrati; un calpestamento dei diritti fondamentali dell’uomo, per altri.
In base all’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario italiano, per accedere a permessi premio o misure alternative al carcere i reclusi per questi tipi di reato devono prima collaborare con i magistrati, confessando le proprie responsabilità e contribuendo alle indagini nei confronti di altri.
L’ergastolo ostativo era stato introdotto nell’ordinamento italiano negli anni Novanta, subito dopo le stragi di Falcone e Borsellino. La Corte costituzionale lo aveva difeso nel 2003, sostenendo che la mancata collaborazione con la giustizia sia una scelta del condannato. La stessa Corte, però, alcuni giorni fa ha dichiarato l’ergastolo ostativo sancito dall’articolo 4 bis incostituzionale ed ha affermato che anche ai mafiosi che non collaborano possono essere concessi permessi premio.
La procedura, al netto di narrazioni semplicistiche riportate da alcuni media, è complessa: bisogna aver scontato 10 anni di carcere e vi è necessità di acquisire una serie di pareri favorevoli (assistente sociale, Giudice del Tribunale di Sorveglianza, procura antimafia, Prefetto); una volta accertati il comportamento esemplare del detenuto ed una netta rescissione dei legami con le cosche, si può valutare l’adozione di un permesso premio.
Come si fa a rieducare una persona sapendo che l’unico modo che ha di uscire di galera è la morte? Il “fine pena mai” non deve esistere ed è incostituzionale, tant’è che i padri costituenti non hanno mai utilizzato la parola “ergastolo”. D’altro canto bisogna fare in modo che, il riconoscimento di tale diritto, non rappresenti la breccia che fa crollare l’intero muro dell’antimafia e dell’antiterrorismo. Siamo certi che l’ergastolo ostativo, benché una tortura, non rappresenti un valido strumento di pressione sul detenuto? E se in seguito a tale pronuncia venisse messa in discussione la costituzionalità degli altri benefici della pena?
Non sno d’accordo, dal mio punto di vista se un nemico dello stato non chiede pace, e non fa nessun atto di rottura col comportamento precedente si è autorizati al 41 bis. In fin dei conti non si tratta di ceppi alle catene e non vi è alcuna evidenza di pentimento, con possibilità da parte del carcerato di reiterare gli stessi delitti. E non sarebbe d’altronde giusto per chi comunque scende a patti con lo Stato.