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Alessandra Spirito
Il voto alle donne fu dato per la prima volta nella storia d’Italia con il Decreto Legislativo luogotenenziale del 23/01/1945, firmato dal Presidente del Consiglio Ivanoe Bonomi, sostenuto altresì da figure emblematiche del panorama politico dell’epoca come Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti.
Tale decreto concesse l’elettorato attivo, ma non quello passivo, alle donne. Per essere elette, infatti, le donne dovettero attendere il Decreto n.74 del 10 marzo 1946 (“Sono eleggibili all’Assemblea Costituente i cittadini e le cittadine italiane che al giorno delle elezioni abbiano compiuto il 25 anno di età”).
In quegli anni di fermento, bisogna considerare che la partecipazione delle donne alla vita politica rispondeva anche ad una reale necessità dei partiti politici: la Democrazia Cristiana, ad esempio, incentivava la partecipazione delle donne per costruire un partito di massa popolare e per tenere vivi i valori cristiani nella società, che la donna incarnava perfettamente quale pilastro dell’unità familiare e, quindi, della stabilità sociale. Il Partito Comunista, invece, considerava una più autonoma forma di partecipazione delle donne alle lotte per i diritti sociali, al fine di costituire una reale democrazia progressista per il nuovo assetto istituzionale italiano.
Le donne, perciò, votarono per la prima volta nelle elezioni amministrative a marzo e aprile del 1946 e il loro elettorato passivo riscontrò un enorme successo: furono elette in 2.000 nei consigli comunali e alcune di loro furono anche assessore e sindache.
Per il voto del 2 giugno del 1946 le donne ai seggi furono un vero e proprio orgoglio: si pensi che 12 milioni di donne (pari all’89%, costituivano il 53% della popolazione) esercitarono il loro diritto di voto, rispetto agli 11 milioni di uomini. Con il referendum del 2 giugno, com’è noto, bisognava effettuare la scelta tra Monarchia e Repubblica e, in seguito, formare l’Assemblea Costituente che avrebbe dato vita alla Carta Fondamentale dei diritti: la Costituzione Italiana.
Su un totale di 556 deputati furono elette 21 donne per l’assemblea costituente: 9 della Democrazia Cristiana, 9 del Partito Comunista, 2 del Partito Socialista e 1 dell’Uomo Qualunque.
Le donne dell’Assemblea Costituente erano: Nilde Iotti, Maria Federici, Teresa Noce, Angelina Merlin, Ottavia Penna Buscemi, Adele Bei, Bianca Bianchini, Anna Maria Guidi Cingolani, Elisabetta Conci, Maria de Unterrichter Jervolino, Filomena Delli Castelli, Nadia Gallico Spano, Angela Gotelli, Teresa Mattei, Angiola Minella Molinari, Rita Montagnana Togliatti, Maria Maddalena Rossi, Maria Nicotra, Elettra Pollastrini, Vittoria Titomanlio.
I lavori dell’Assemblea Costituente per la stesura del testo costituzionale furono caratterizzati da una assidua e ampia presenza delle donne, dotate di grande sensibilità e voglia di dare una vera svolta per la nascita della Repubblica. Infatti, le caratteristiche politiche delle donne dell’Assemblea Costituente furono condivise e apprezzate dagli uomini che ebbero l’onore di lavorare al loro fianco. Esse dimostrarono, sin dall’inizio, di avere un forte legame con il popolo italiano e di avere a cuore i problemi che caratterizzavano le donne italiane.
Ciascuna di loro portava con sé un bagaglio di esperienza politica: alcune perché già attive politicamente durante la seconda guerra mondiale altre basavano, invece, la loro sensibilità sugli assidui studi universitari.
Pur derivando da formazioni diverse e da filoni politici diversi, le donne della Costituente comunque seppero andare oltre le mere appartenenze politiche, essendo unite per la stesura del testo costituzionale non solo da un punto di vista tecnico-giuridico ma soprattutto dalla volontà di dare rilevanza sociale alle necessità della popolazione.
Per la stesura del Progetto di Costituzione fu istituita una Commissione ad hoc poiché il testo del progetto doveva poi essere sottoposto alla discussione ed alla votazione in sede di Assemblea.
La Commissione era divisa in tre sottocommissioni: la prima, “Diritti e Doveri dei cittadini”; la seconda, “Organizzazione Costituzionale dello Stato” e la terza, “Diritti e Doveri nel campo economico e sociale”. A tale proposito, giova sottolineare che della Commissione dei 75 fecero parte 5 donne: Nilde Iotti, Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce, Ottavia Penni Buscemi.
Al lavoro sensibile e incondizionato delle Madri costituenti si deve la stesura di uno degli articoli più importanti – forse il più importante – della nostra Costituzione repubblicana: l’articolo 3.
Com’è noto, l’art. 3 esplica il principio di uguaglianza declinato in due accezioni: l’uguaglianza formale e sostanziale perciò tutto ciò che differenzia gli esseri umani, come il sesso, la religione, le opinioni politiche non deve essere più motivo di disuguaglianza ma, al contrario, di tutela. E poi, in senso sostanziale, la Repubblica deve obbligatoriamente rimuovere “gli ostacoli” alla pratica realizzazione dell’uguaglianza formale di cui al primo periodo.
Il concetto di diversità espresso all’interno dell’art. 3 richiama una concezione molto attuale della diversità come ricchezza. Oltre al tema dell’uguaglianza, che per ovvi motivi legali alla tradizione culturale era necessario affrontare, le Madri costituenti modellarono anche la concezione della famiglia, con gli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione.
Sul tema della famiglia si mosse in particolar modo Nilde Iotti, la quale si concentrò sul cambiamento che doveva essere effettuato a causa dell’impianto culturale radicato all’interno della società e in particolar modo sul ruolo della donna nell’ambito familiare.
Foto: Fondazione Nilde Iotti
L’art. 29 della Costituzione, infatti, afferma che “il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità famigliare”, il quale letto in combinato disposto con l’art. 30 (“E’ dovere e diritto dei genitori, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio …La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima”) e 31 (“La Repubblica agevoli con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tal scopo”) tentava di rivedere in modo assolutamente rivoluzionario non solo il ruolo sociale della donna ma in generale il sistema della famiglia e la concezione stessa della famiglia. Infatti ciò che premeva alle Madri costituenti era l’eguaglianza di fatto tra uomo e donna, non solo in ambito di diritti politici ma anche nei confronti della famiglia, promuovendo le misure di previdenza sociale, promozione del lavoro femminile, parità salariale e conciliazione tra vita familiare e lavorativa.
Dal quadro generale così come delinato si svolsero i lavori e furono trattate le tematiche di genere, il ruolo della donna fu emblematico non solo nella stesura della Carta Costituzionale stessa, ma, a partire da essa, per l’intero assetto istituzionale e sociale dell’Italia.
Non solo l’8 marzo, bensì sempre, noi donne dobbiamo essere fiere del ruolo che ricopriamo e soprattutto dei ruoli che, nel futuro, potremmo ricoprire; dobbiamo avere fiducia nelle nostre capacità, tanto quanto avevano fatto nel lontano 1946 Nilde Iotti, Maria Nicotra, Maria Maddalena Rossi e tutte le altre Madri Costituenti.
Fonti: Passato e Presente St. 2018/2019, Le donne della Costituente, Arch. RAI; Livia Turco, Le Madri della Repubblica. La storia delle 21 donne che hanno scritto la Carta Costituzionale, in Fondazione Nilde Iotti (www.fondazionenildeiotti.it).