di Simone Nardone
Anche un bambino sa che nel nostro Paese la più alta carica dello Stato è rivestita dal Presidente della Repubblica, che può anche essere più semplicemente chiamato Capo dello Stato. Il Presidente, unica carica istituzionale ad essere riconosciuta negli scritti sempre con la lettera maiuscola anche nel nome comune, ed è equiparato al ruolo del monarca nelle monarchie costituzionali, ma di fatto è un organo posto a garanzia della tenuta sociale, politica, istituzionale di tutto lo Stato. Per tale motivo, di solito, i leader dei partiti non arrivano mai a ricoprire questo incarico. Il Presidente della Repubblica è una figura che deve essere vista come imparziale, un vero e proprio garante della Nazione.
L’ISTITUZIONE: I requisiti
Quando si parla di elezioni, è ovvio che scende in campo la politica e con essa i partiti. La verità, però, è che malgrado il calcolo numerico e la grande attenzione mediatica, l’elezione del Presidente della Repubblica non ci coinvolge in prima persona essendo un’elezione indiretta che avviene in Parlamento. Di contro, non è assolutamente detto che chi viene eletto deve occupare uno scranno a Montecitorio o a Palazzo Madama. L’elezione del Presidente della Repubblica Italiana (che approfondiremo nei prossimi giorni), probabilmente viene spiegata bene – seppur in modo irriverente e goliardico – nel film “Benvenuto Presidente”, dove un perfetto sconosciuto, sulla carta, può rivestire il ruolo di massima autorità del Paese. Ovviamente la consuetudine dice tutt’altro, ma i requisiti che deve avere una persona per essere eletta Capo dello Stato sono davvero pochi: essere cittadino italiano, aver compiuto 50 anni di età ed avere pieni diritti civili e politici. Tradotto, oltre al valore anagrafico dell’età ed avere la cittadinanza del bel Paese, chiunque non stia scontando una pena e abbia la facoltà di votare e candidarsi ad una qualsiasi carica, può ricoprire tale ruolo. In realtà, tra i requisiti, c’è anche l’incompatibilità con qualsiasi altra carica, ma vien da sé che è difficile immaginare che un Presidente eletto non rinunci altri ruoli per ricoprire il più alto incarico previsto dalla Costituzione italiana.
I PRESIDENTI: Einaudi e Ciampi
Si è precedentemente affermato che i Presidenti della Repubblica possono essere eletti anche al di fuori dell’agone politico. In particolare due di loro sono considerati esponenti “tecnici”: parliamo del secondo in ordine di elezione, Luigi Numa Lorenzo Einaudi (da qui in avanti Luigi Einaudi), e il decimo, Carlo Azelio Ciampi. La loro formazione istituzionale, infatti, passa dall’economia, e in particolar modo dal ruolo di governatore della Banca d’Italia, ma entrambi non sono stati solo economisti in quanto, nel corso della loro carriera istituzionale, hanno ricoperto vari altri ruoli. Einaudi, ad esempio, è stato anche senatore del Regno d’Italia, deputato all’assemblea Costituente e ministro del Bilancio (lo stesso dicastero che oggi chiamiamo dell’Economia e che in passato abbiamo rinominato del Tesoro). Ciampi, dal canto suo, oltre ad aver ricoperto il ruolo di Governatore della Banca d’Italia, ha anch’egli preso parte a governi ed è addirittura stato anche presidente del Consiglio dei Ministri dall’aprile 1993 al maggio 1994.
LE CURIOSITA’: I governi del Presidente
Einaudi e Ciampi rappresentano due facce della stessa medaglia di periodi storici molto particolari in cui esponenti politici, considerati come “tecnici” vengono designati a incarichi dove, per consuetudine, hanno una sorta di diritto di precedenza gli esponenti dei partiti. Pur espressione del mondo economico, istituzionale e ben conosciuti negli ambienti delle più alte cariche dello Stato, sia Einaudi che Ciampi hanno un aspetto che li accomuna: entrambi, al momento dell’elezione, ricoprivano incarichi istituzionali ma non sedevano in uno dei due rami del Parlamento.
Durante il mandato di Einaudi sono stati in quattro a rivestire l’incarico di presidente del Consiglio, mentre tre sono stati i premier durante il settennato di Ciampi. In entrambi i casi ci sono stati governi “particolari” che oggi definiremmo come compagini non espressamente figli delle urne. Nello specifico, durante l’agosto del 1953, dopo l’impossibilità a trovare una maggioranza politica attorno alla Democrazia Cristiana, il presidente Einaudi conferì l’incarico per formare un nuovo governo a Giuseppe Pella, un “tecnico” già diverse volte al ministero dell’Economia. Pella, che non era stato scelto dal partito di maggioranza, si presentò alle Camere per chiedere la fiducia su un programma specifico e la ottenne. Con quella mossa, Einaudi diede il via alla prassi istituzionale che a volte si verifica durante le crisi di governo e che oggi definiamo come “Governo del Presidente”, dove il Presidente della Repubblica si assume il compito di individuare un esponente di alto profilo non indicato dai partiti in grado di trovare una maggioranza in Parlamento. Fu quello che fece Pella, diventando così il secondo presidente del Consiglio dei Ministri della storia Repubblicana italiana. Situazione analoga, seppur diversa per portata, è quella che si è venuta a creare nell’aprile del 2000, quando Ciampi affidò l’incarico al terzo presidente del Consiglio della legislatura, ovvero Giuliano Amato, il quale, ottenendo la fiducia alle Camere, divenne il terzo governo della storia repubblicana ad essere presieduto da una persona non eletta in Parlamento.
I due Presidenti “tecnici” hanno entrambi un forte legame con il periodo pre-repubblicano, seppur per motivazioni diverse. Einaudi, che aveva ricoperto incarichi quale senatore del Regno d’Italia, ha partecipato all’Assemblea Costituente ed è stato il governatore della Banca d’Italia nel post fascismo. Fondamentalmente Einaudi è stato un intellettuale antifascista, non solo firmando il manifesto omonimo nel 1925, ma anche rimanendo docente universitario convinto sostenitore degli ideali liberali, dopo l’obbligo di prestare giuramento al fascismo. Di contro, però, Einaudi votò per la monarchia al referendum istituzionale del 1946, salvo poi spiegare nel discorso di insediamento da Capo dello Stato che non solo aveva rispettato la volontà popolare ma aveva dato credito e forza al nuovo ordine istituzionale il cui passaggio era avvenuto senza particolari problemi.
Ciampi, invece, è stato un partigiano, avendo partecipato attivamente alla Resistenza nel periodo in cui aveva dato maggior peso anche al proprio impegno politico. Da sempre considerato vicino al centrosinistra, infatti, Ciampi non ha mai più avuto tessere di partito tranne quella del Partito d’Azione che aveva rinnovato alcune volte negli anni della giovinezza e della Resistenza.
Entrambi i Presidenti, ex Governatori, sono arrivati al Quirinale in un momento politico molto particolare, dove a farla da padrona era l’incertezza economica e politica, e dove emergeva la debolezza non tanto del sistema istituzionale in sé quanto di quello dei partiti. Raramente la politica e i partiti di maggioranza fanno un passo indietro o di lato sull’elezione del Presidente della Repubblica, ma con Einaudi e Ciampi, seppur in modalità e numeri diversi, è accaduto, e non è escluso che possa accadere di nuovo, anche nella contemporaneità dei giorni che andremo a vivere di qui a breve.