di Valerio Iannitti
“L’unica cosa necessaria per il trionfo del male è che i buoni non facciano nulla. Per questo non rimanete inattivi”. Sono parole di Aleksej Anatol’evič Naval’nyj, principale oppositore di Putin, da tempo incarcerato con motivazioni risibili, che il 16 febbraio 2024 è stato trovato senza vita.
Nelle democrazie occidentali, per fortuna, non abbiamo notizie di oppositori finiti in carcere per reati politici. Non per questo, tuttavia, mancano problemi legati al rispetto dello stato di diritto e alla libertà d’espressione. A tale riguardo, in quello stesso giorno in cui Navalny è stato (direttamente o indirettamente) ucciso, a Fondi abbiamo avuto il piacere di ospitare Stefania Maurizi, che ha scritto il libro “Il potere segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e Wikileaks”.
Cos’è Wikileaks? È un’organizzazione che, grazie a fonti anonime, ha pubblicato e pubblica informazioni segrete che, spesso, hanno fatto luce su vicende terribili, soprattutto per quanto riguarda il trattamento riservato al “nemico” nelle cosiddette guerre al terrorismo, di frequente risolte in inutili massacri di civili.
Dalle torture a danno anche di innocenti a Guantanamo, alle guerre in Iraq e in Afghanistan e a molte altre vicende ancora, viene messo in luce un gran numero di crimini di guerra. La rivelazione che forse, più di altre, ha reso nota l’organizzazione in tutto il mondo è stata quella chiamata “Collateral murder”, un video – liberamente reperibile in rete – di una ingiustificabile e cruenta uccisione di diversi civili iracheni da un elicottero americano, con l’equipaggio che nel frattempo se la rideva. La guerra in Iraq, scatenata sulla base di prove false, ha provocato un numero di vittime civili stimato in almeno seicentomila, oltre a milioni di rifugiati, con tutte le conseguenze politiche sull’alimentazione dei partiti di destra anche estrema in Europa. Inoltre, ha creato le condizioni per far nascere l’ISIS, concepito proprio in carceri come quello di Camp Bucca, dove i detenuti, radicalizzati e spinti a un odio ancora più totale verso l’Occidente, hanno avuto modo di concepire il loro progetto potendo stare a stretto contratto per diverso tempo. La guerra in Afghanistan, invece, si è risolta, venti dopo, con il ritorno al potere dei talebani con disarmante facilità. Insomma, un disastro su tutta la linea, con la cellula afghana dell’ISIS che sembra ora la più attiva, come dimostrato proprio nel recente gravissimo attentato a Mosca del 22 marzo.
Di tutto rilievo, tra le pubblicazioni di Wikileaks, anche i cablegates, scambi di informazione tra alti funzionari americani che ci offrono la visione del mondo secondo la democrazia a stelle e strisce. La Russia, ad esempio, viene definita in sostanza uno Stato nelle mani della mafia. Quanto a noi, da brividi, tra le altre, la frase dell’allora ambasciatore a Roma, Mel Sembler, a proposito della partecipazione italiana alla guerra in Iraq. Secondo lui, “Il governo Berlusconi ha portato un Paese completamente contrario alla guerra il più vicino possibile, politicamente, allo stato di belligeranza. (…) L’Italia (…) è un posto eccellente per fare i nostri affari politici e militari”.
La whistleblower Chelsea Elizabeth Manning, nata Bradley Edward Manning, è una delle fonti di Wikileaks che se l’è passata peggio: avendo confidato ad un amico hacker le sue rivelazioni, e avendo quest’ultimo rivelato tutto alle autorità statunitensi, la Manning ha dovuto trascorrere anni di carcere in condizioni che secondo il suo avvocato hanno rappresentato in alcuni momenti una vera e propria tortura, ed è uscita di carcere, da ultimo, solo nel 2020, dopo tre tentati suicidi.
Quanto ad Assange, privato della libertà personale dal 2010, rinchiuso per anni a Londra nell’ambasciata dell’Ecuador (allora governato da Correa), imbrigliato in un’accusa per stupro con conseguente processo durato anni e concluso, con archiviazione, solo nel 2019, è stato infine incarcerato a seguito del cambio al vertice del governo dell’Ecuador e del mandato di arresto firmato Trump. Da tempo pare sia ridotto in pessime condizioni psicofisiche.
Tra le accuse maggiori che gli sono state rivolte da chi lo ritiene un criminale, se ne possono elencare tre: quelle di aver messo a repentaglio vite umane; quella di essere colluso con la Russia di Putin o di essere comunque un utile idiota che fa il bene degli interessi russi; quella che critica il suo modo di fare giornalismo riversando documenti in rete, mettendo anche in dubbio il fatto che in tal caso si possa parlare di giornalismo.
Sul primo aspetto non risultano, per stessa ammissione degli Stati Uniti, vittime attribuibili alle pubblicazioni di Wikileaks, anche perché prima della diffusione viene svolto un lavoro – secondo alcuni non sempre con la dovuta attenzione – volto proprio a verificare e scongiurare ex ante il pericolo verso le persone coinvolte nei documenti.
La seconda accusa è stata avanzata soprattutto a seguito della diffusione di mail che avrebbero favorito Trump a discapito di Hillary Clinton nelle elezioni del 2016 (diffusione che sembrerebbe essere stata in parte criticata, per via di una presunta non accurata “curation”, anche da Edward Snowden, ossia colui che rivelò lo spionaggio di massa ad opera della NSA americana e che tuttora si trova – ironia della sorte! – “rifugiato” in Russia). Accuse, queste, alimentate anche da un articolo del Guardian che a quanto pare aveva distorto le parole di Assange, tanto da subire poi il fact-checking ad opera del giornale d’inchiesta “The Intercept”. Nel merito di questa accusa, una risposta potrebbe essere già il mandato d’arresto voluto da Trump. Il diretto interessato, ad ogni modo, oltre a negare ogni complicità con la Russia, ha risposto così alla domanda sul perché Wikileaks non riceva dai regimi di Russia e Cina lo stesso numero di leak che invece arrivano dai paesi occidentali: “La mia interpretazione è che in Russia ci siano molti concorrenti a Wikileaks, dove oltretutto mancano membri dello staff che parlino il russo…”. Poi aggiunge che comunque hanno pubblicato più di 800mila documenti legati alla Russia e a Putin, nonché due milioni di documenti sulla Siria e su Bashar al-Assad, dati omessi dal Guardian. “Ma la maggior parte delle nostre pubblicazioni arriva da fonti occidentali; la vera discriminate è quanto una cultura sia distante da quella inglese. Quella cinese lo è abbastanza”. Un altro motivo del perché la maggior parte dei documenti riguardano Paesi occidentali, potrebbe dipendere da un minor numero di “talpe” in Paesi autoritari come possono essere, appunto, Russia e Cina.
Sul terzo, si potrebbe rispondere con le parole di George Orwell: “Il giornalismo è stampare qualcosa che qualcun altro non vuole che sia stampato. Tutto il resto è pubbliche relazioni”. Può definirsi giornalismo quello di Wikileaks? Chi può decidere se lo è o meno? È corretta la trasparenza totale? Ognuno avrà la sua opinione. Personalmente, ritengo che molti documenti relativi alle guerre sia sacrosanto che vengano conosciuti dall’opinione pubblica. Discorso in parte diverso, forse, potrebbe farsi rispetto al rilascio di informazioni confidenziali scambiate tra diplomatici convinti di non essere ascoltati da terzi.
A seguito della sentenza della Corte Suprema di Londra del 20-21 febbraio, in caso di estradizione Assange avrebbe rischiato, negli Stati Uniti, 175 anni di prigione per violazione dell’Espionage Act del 1917, legge concepita durante la Grande guerra, mai applicata in oltre un secolo per vicende di pubblicazione mediatica di documenti o materiale top secret di qualunque tipo.
Il 26 marzo è stato pubblicato il verdetto di Londra: i giudici hannodato il via libera all’istanza della difesa del giornalista australiano – respinta in primo grado – per presentare un nuovo, ulteriore ricorso di fronte alla giustizia britannica contro la consegna alle autorità d’oltre oceano. È stato chiesto al governo degli Stati Uniti di fornire entro tre settimane ulteriori garanzie sul fatto che, se estradato, i diritti del giornalista accusato di spionaggio saranno rispettati e, soprattutto, che non rischierà la pena di morte. La prossima udienza è fissata al 20 maggio, occasione in cui l’Alta Corte dovrebbe stabilire se gli Stati Uniti avranno soddisfatto le richieste.
Tutto dunque è rinviato, e Assange rimane, nel frattempo, nel carcere di Belmarsh.
L’estradizione di Assange – osserva la Maurizi nel suo libro – sarebbe una pessima notizia sia per le democrazie occidentali, sia per le dittature, che si sentiranno ancora più legittimate a reprimere il dissenso.
A ben vedere, come afferma Ken Loach nella prefazione al libro, l’unico crimine di Assange sembrerebbe essere quello di rivelare la verità (secondo alcuni, “troppa verità”). E per questo, sta pagando un prezzo salatissimo, considerato oramai quasi unanimemente sproporzionato, e inaccettabile in una società democratica che voglia tracciare un confine netto con i regimi che ammazzano i propri oppositori.