di Simone D’Adamo
Nonostante alcuni timidi accenni di ripresa, grazie alla no-tax area, per quanto riguarda le iscrizioni alle università italiane, persiste un problema tra i giovani, ossia quello del pentimento della scelta effettuata sia per la scuola (scuola superiore), sia per l’università. Questo sentimento negativo è scaturito da un’altra crisi, ovvero il mancato incrocio tra domanda e offerta di istruzione che persiste ormai da troppo tempo.
Secondo il rapporto 2018 redatto da AlmaDiploma si evince che un diplomato su tre riesce a trovare lavoro, soprattutto per quanto riguarda i diplomati che provengono dagli istituti tecnici (che superano il 53%). Visto in questo modo, sembra una buona notizia (e lo è), ma il rapporto di AlmaDiploma nasconde un “deficit” interno alla scuola, e anche all’università, deficit che rischia di trascinare nel caos i giovani studenti. Il disorientamento è una “patologia” che sta crescendo in modo inesorabile. Le cause portano tutte in un unico punto: domanda e offerta formativa non si incontrano. Questo mancato contatto demoralizza gli studenti nelle loro scelte degli indirizzi di studio e nel loro proseguimento. Gli unici che riescono a sfatare tale mancanza sono i laureati in matematica ed ingegneria (in special modo in Informatica) che, grazie ai nuovi sbocchi professionali dettati dalle competenze di utilizzo di big data, manutenzione predittiva e algoritmi, riescono a soddisfare la domanda che nasce dall’industria e dall’impresa finanziaria. Insomma, se un giovane italiano vuole addentrarsi il più velocemente possibile nel mondo del lavoro, con la sicurezza di avere un futuro solido, deve “scegliere” quella che viene definita la cybercultura. Secondo Lévy, tale termine, si riferisce alle tecniche (materiali e intellettuali), al modus operandi e ai valori che le tecnologie digitali permettono di spartire. Rinnegare questa nuova filosofia di sophos digitale sarebbe un’idiozia, visto i più recenti sviluppi nel campo scientifico e culturale in generale. In un paese come il nostro, che ha delle solide radici attaccate al sapere classico, non è per niente facile far accomunare il vecchio con il nuovo. Ma ciò non deve demoralizzare gl’insegnanti, anzi li deve spronare a provare nuove strategie pedagogiche-didattiche così da formare dei soggetti che, con un appropriato bagaglio culturale, civile e morale, siano in grado di interagire con il mondo del lavoro e risultare poi competitivi.
Un tema assai caldo che viene puntualmente preso sotto gamba. Oltretutto viene strumentalizzato e monopolizzato in ricette che si focalizzano poco sulle esigenze concrete di cui necessita l’istruzione dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze. Ma la classe “operaia” del sapere, che risponde con il nome di insegnanti, è viva più che mai e sarà solo una questione di tempo prima che tale problema diventi solo un lontano ricordo.