- Capaccioli S., “Regime impositivo delle monete virtuali: poche luci e molte ombre”, in “Il Fisco”, 2016.
- Ferrari E., “Bitcoin e criptovalute: la moneta virtuale tra Fisco e antiriciclaggio”, in “Il Fisco”, 2018.
- Frollà A., “Bitcoin Valley, la rivoluzione silenziosa nel cuore del Trentino”, in “repubblica.it/economia”, 2017.
- Medetti S., “Bitcoin, uno strumento che si presta alle frodi”, in “Panorama”, 2017.
- Pellizzari T., Morini M, “Il boom di Bitcoin non è per tutti”, in “Il Sole 24 Ore”, 2017.
- Rizzi M., “Bitcoin, allerta Commissione UE”, in “Italia Oggi”, 2018.
di Mariano Parisella e Vincenzo Parisella
Uno dei fenomeni economici più imprevedibili e discussi negli ultimi anni è sicuramente quello delle cosiddette “criptovalute”. Nel linguaggio quotidiano va consolidandosi il termine “Bitcoin”, noto ai più per essere oggi la criptovaluta più conosciuta al mondo e di maggior valore. Il Bitcoin viene definito come una “moneta virtuale”, distribuita e generata da una rete decentralizzata “peer to peer“. Questo significa che non esiste alcuna banca o autorità centrale che ne regoli l’emissione e ne influenzi il valore, che è invece affidato alla sola legge della domanda e dell’offerta.
In altre parole, contrariamente a quanto accade per le normali valute, non vi è un ente di riferimento, ma un database che traccia le transazioni e sfrutta la crittografia per gestirne gli aspetti funzionali, quali ad esempio la generazione di nuova moneta e l’attribuzione della proprietà dei Bitcoin. Trattasi, in definitiva, di una moneta “senza corso legale”.
Ciò che ha portato alla ribalta il Bitcoin è stata, in assoluto, la lunga fase di rialzo del suo prezzo, che ha sfiorato anche picchi di ventimila dollari per una sola moneta virtuale. Pur tuttavia, sebbene il fine speculativo sottostante il trading di Bitcoin rimanga la ragione fondamentale che spinge i soggetti ad investire nella criptovaluta, non sono mancati casi in cui quest’ultima è stata impiegata per scopi “reali”. Si pensi, ad esempio, che lo scorso gennaio, per la prima volta nella storia del calcio, il trasferimento di un giocatore professionista è stato finanziato mediante questo particolare mezzo di scambio e che anche alcuni esercizi commerciali si stanno attrezzando per accettarlo quale forma di pagamento.
Ma allora è lecito chiedersi: esistono vantaggi reali, al di fuori della mera speculazione valutaria, che giustificano l’impiego dei Bitcoin nella vita quotidiana degli individui e delle imprese?
Tra i principali punti di forza delle criptovalute possono annoverarsi l’elevato livello di accessibilità, che permette a chiunque di effettuare operazioni in qualsiasi parte del mondo e in qualsiasi momento, nonché l’assenza (o quasi) di costi di transazione.
Eppure, malgrado la presenza di questi aspetti positivi, diversi sono gli studiosi che hanno espresso le proprie perplessità nei confronti delle criptovalute. Fra questi, si annovera il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, che durante un’intervista alla Bloomberg Television, ha dichiarato: “Abbiamo un buon mezzo di scambio chiamato dollaro e possiamo effettuare scambi con quello. Perché la gente vuole il Bitcoin? Per la sua segretezza”. A fargli da eco è Jamie Dimon, CEO della JP Morgan, che ha declassato il Bitcoin a strumento “utile per trafficanti di droga e assassini”.
Gli aspetti positivi delle criptovalute pocanzi enunciati, quindi, sembrerebbero cedere il posto a svariate debolezze, quali l’elevato grado di volatilità e di segretezza. Peraltro, proprio quest’ultimo aspetto ha giocato un ruolo cardine nel rendere le criptovalute un’ulteriore freccia all’arco della criminalità organizzata. Anche in Italia, infatti, si è registrato un crescente utilizzo del Bitcoin negli affari malavitosi. Ciò è reso possibile, in primis, dal fatto che i pagamenti in Bitcoin possono essere effettuati senza il rilascio di alcuna informazione di carattere personale relativa ai soggetti coinvolti nelle transazioni.
Ad ogni modo, il dado è tratto e le autorità nazionali di tutto il mondo sono chiamate a fronteggiare un fenomeno ancora del tutto (o quasi) privo di una specifica regolamentazione. Nonostante le diverse interpretazioni circa la natura delle criptovalute, non vi è stata una chiara ed univoca presa di posizione da parte delle istituzioni competenti in materia. Questo, inevitabilmente, determina incertezze nel trattamento, sia civile sia fiscale, delle operazioni poste in essere dai contribuenti.
Volendo comunque sintetizzare il pensiero prevalente, pare ormai accettato che le criptovalute, pur possedendo alcune caratteristiche proprie della moneta (sono un mezzo di scambio e funzionano da riserva di valore), non possano essere equiparate alle valute reali aventi corso legale (Euro, Dollaro, Sterlina, ecc.).
Sia la Corte di Giustizia Europea sia la Corte di Cassazione italiana hanno chiarito, infatti, che il concetto di “moneta” richiede il collegamento ad un corso legale. In altre parole, la potestà di emissione della moneta e quella di gestione del suo valore sono espressione della funzione pubblica e, in quanto tali, rientrano nelle finalità stabilite dall’ordinamento, nazionale e sovranazionale.
Ma allora, se “la moneta virtuale non è una moneta”, cos’è e come devono essere trattate le operazioni aventi ad oggetto le criptovalute?
La definizione più plausibile sembrerebbe potersi desumere dal recente decreto legislativo n. 90 del 2017, che permette di inquadrare le criptovalute quali “beni immateriali” e, di conseguenza, assimilare le operazioni di scambio al baratto o alla permuta. Peraltro, questa interpretazione trova riscontro in quanto avviene oggi negli Stati Uniti e in Canada, Paesi dove i Bitcoin e le altre criptovalute stanno trovando una concreta regolamentazione e sono trattate alla stregua delle commodities e dei beni merce (il parlamento canadese ha approvato la prima legge al mondo sulle valute virtuali e l’agenzia delle entrate statunitense ha creato un’apposita commissione di vigilanza sugli scambi).
In Europa, la Commissione Europea si prepara ad affrontare il tema Bitcoin e questo mese sarà aperto un tavolo di lavoro per discutere la proposta di regolamentazione proveniente dai ministri delle finanze di Francia e Germania.
La direzione, quindi, sembrerebbe finalmente essere quella giusta: vista la portata del fenomeno Bitcoin e le possibili ripercussioni che questo può avere sull’economia reale e sugli investitori, spesso inconsapevoli (o incuranti) dei rischi, l’appuntamento con la regolamentazione non può più essere rinviato. Quando realtà e finzione si mescolano minacciosamente, enormi bolle speculative si profilano all’orizzonte: un orizzonte che potrebbe poi non essere tanto lontano.
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