di Simone D’Adamo e Giorgio di Perna
Pochi giorni fa abbiamo celebrato la Giornata della legalità, nella quale ogni anno ricordiamo la strage di Capaci, la figura di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e di tutti quelli che, con coraggio e impegno, hanno lottato contro le organizzazioni malavitose, mafia e camorra in particolar modo. La principale peculiarità di queste “associazioni” è il reclutamento di adepti provenienti, essenzialmente, dalle periferie di grandi città (basti pensare alla celebre serie Gomorra, ambientata nei quartieri di Scampia e Secondigliano, alle porte di Napoli.)
Tali quartieri, il più delle volte governati dalla legge della strada, diventano spesso teatro di soprusi sociali ed economici, costringendo così gli abitanti ad affrontare una scelta di vita, quella tra legalità e illegalità. Un bivio dovuto, in modo particolare, alla crisi occupazionale e, talvolta, anche all’ indifferenza delle istituzioni, le quali offrono su un piatto d’argento uomini, donne e bambini alle organizzazioni criminali, le stesse che lo scrittore Roberto Saviano chiama paranze. Bambini e giovani si ritrovano improvvisamente e inesorabilmente legati con un doppio nodo ai loro ‘maestri’, che insegnano loro un nuovo (e deviato) stile di vita: per sopravvivere alla crudeltà del mondo bisogna sopraffare e imporre il proprio dominio sul prossimo, in altre parole, si attacca per non essere attaccati.
Nelle periferie, tuttavia, c’è chi dice no a questo stile di vita e lotta giorno dopo giorno, denunciando lo stato delle cose: ma ciò non basta. Occorre superare l’idea della periferia come problema e iniziare a guardarla come potenzialità. Non è sufficiente denunciare, bisogna altresì costruire nuove opportunità: mettere in rete le istituzioni (locali e non) e le associazioni; ripartire focalizzando l’attenzione sulla persona, attraverso il ricorso a quegli elementi che – citando Giorgio La Pira, sindaco di Firenze negli anni ’50-‘60 – hanno costruito le comunità: istruzione, storia, arte.
Citare tutti coloro che si sono spesi e che si spendono quotidianamente per questa causa sarebbe complicato, ma due nomi su tutti emergono dalla nostra piccola riflessione: Gianni Maddaloni e Francesco Viviano. Il primo, “O maé”, da anni è impegnato nel mondo dello sport sociale con la sua palestra “Judo Star” nel quartiere napoletano di Scampia, a due passi dalle famose vele. Il secondo, inviato de “La Repubblica”, grazie alla sua forza di volontà e a quella di sua madre, da potenziale adepto della mafia è diventato, attraverso lo studio ed il suo lavoro, una delle voci di denuncia più forti nei confronti della malavita siciliana.